DISLESSIA E DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO - PREMESSE

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Indice
DISLESSIA E DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO
PREMESSE
IL PARERE DEGLI ESPERTI
GLI INDICATORI PIU' COMUNI
AREA LINGUISTICA LETTERARIA
AREA LOGICO-MATEMATICA
DIFFICOLTA' DI LETTURA
PERCHE' SPIEGARE IN CLASSE I DSA
PROVE SCRITTE
VERIFICHE SCRITTE
COME AIUTARE I BAMBINI DISLESSICI
COSA FARE CON BAMBINI CON DSA
COSA NON FARE CON BAMBINI CON DSA
pedagogista
Tutte le pagine

Nonostante l’incremento di interesse e di attenzione che si è sviluppato in questi ultimi anni intorno al tema dislessia, sono convinto che non sene parla mai abbastanza. E questo per almeno due motivi. Il primo è che la dislessia è il disturbo che ha la maggiore prevalenza epidemiologica in età evolutiva. Ciò vuol dire che è il problema più diffuso e più frequente che il bambino può incontrare in età scolare e dunque non ci sono insegnanti, genitori o pediatri che possano ancora ignorarlo. Il secondo motivo è che la dislessia, e con essa anche gli altri D.S.A. che frequentemente vi sono associati, è un problema subdolo perché non ha un’identità propria. È una diversità senza diversità. Il comportamento del bambino con dislessia assomiglia infatti a quello del bambino svogliato, pigro, capriccioso, riluttante all’impegno e questa sua somiglianza fa sì che si scelgano sempre le spiegazioni più semplici e più a portata di mano. Anche perché, fuori dalla scuola questo bambino si comporta esattamente come gli altri: vivace, socievole, allegro. Il fatto che la dislessia non abbia una propria identità sociale fuori dalla scuola, invece che essere considerata la conferma della “specificità” del problema, viene utilizzata come rafforzativo della spiegazione semplicistica dell’ evitamento dell’impegno (il bambino quando è ora di leggere e di scrivere mostra la sua pigrizia, si rifiuta, ecc.). Al contrario di quello che accade in tutti gli altri casi in cui un bambino soffre di una disabilità, nessuno è in grado di sospettare la presenza della dislessia vedendolo giocare con un gruppo di coetanei fuori dalla scuola. Non ci sono marcatori biologici, né comportamentali o sociali che identifichino la dislessia fuori dalla scuola. Solo in classe, di fronte al compito scritto, il bambino mostra tutte le sue difficoltà e questa tipicità, invece che essere considerata un campanello di allarme, un indicatore che accende un’ipotesi, viene valutata come una conferma del disimpegno e viene rinfacciata ripetutamente “.. quando è ora di giocare sei sempre pronto, mentre adesso che devi leggere…”Dunque c’è ancora molto bisogno di porsi delle domande e di cercare delle risposte meno approssimative, meno facili e meno scontate. C’è bisogno di formazione, di cambiare atteggiamento culturale sul problema delle difficoltà di apprendimento della letto-scrittura, per scrostare lo scetticismo degli insegnanti. Per esempio, bisogna distinguere con chiarezza la dislessia e gli altri D.S.A. dalle difficoltà di apprendimento scolastico. I primi sono disturbi che ostacolano l’acquisizione di abilità strumentali che la stragrande maggioranza degli alunni conquista senza sforzo, mentre le difficoltà scolastiche riguardano le difficoltà e le fatiche di imparare, difficoltà e fatiche che tutti abbiamo sperimentato e che Fanno parte dei processi di apprendimento. Mentre nessuno di noi ricordale fatiche per imparare a leggere ad alta voce e a scrivere (tranne i dislessici), tutti abbiamo memoria di sforzi e ostacoli incontrati per imparare la differenza tra area, perimetro o volume, ecc.

Per capire cosa sono i D.S.A. bisogna prima di tutto distinguerli da queste fatiche, evitare di fare di tutta l’erba un fascio. Questo opuscolo ha quindi il pregio di aiutare insegnanti e genitori a farsi delle domande, per le quali fornisce comunque risposte. Gli autori lo fanno in modo accessibile, senza discorsi cervellotici, cercando di mettersi dalla parte di chi fa le domande, ma al tempo stesso senza  tradire il rigore e la fedeltà ai dati della ricerca scientifica.

L’altro aspetto importante di questo lavoro è la sua praticità e la concretezza. Oltre alle risposte alle domande vengono indicate anche i modi ei luoghi in cui si possono cercare le soluzioni, viene presentato un percorso concreto e un’esperienza in cui, partendo dalla non-conoscenza del problema, si sono trovati gli interlocutori e sono stati avviati processi di formazione e cambiate le pratiche didattiche ed educative. Naturalmente, prerequisito di ogni cambiamento sono le intenzioni, la volontà e la disponibilità a cambiare,ma queste sono certamente presenti in chi leggerà queste pagine.

Prof.Giacomo Stella

Presidente del Comitato NazionaleTecnici dell’Associazione ItalianaDislessia

(AID) Professore ordinario di Psicologia Clinica presso la Facoltà di Scienze

della Formazione dell’Università diModena e Reggio Emilia



 

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